Con il senatore Davide Faraone, di Italia Viva, parliamo dei problemi che il nuovo Governo dovrà affrontare per far ripartire la scuola.

Nel corso del suo intervento al Senato lei ha parlato di emergenza educativa. Cosa intende esattamente con questa espressione?
“Intendo quello che ha detto il Presidente Draghi nel suo intervento in Aula. Draghi ha messo al centro la scuola ribadendo concetti che aveva già espresso in moltissime occasioni, ricordo ad esempio il bellissimo intervento al Meeting di Rimini dello scorso anno. Ai giovani stiamo chiedendo in prestito i soldi del nostro debito, ai giovani dobbiamo pensare quando li spendiamo. I problemi vengono da lontano: i divari territoriali, le diseguaglianze, la debolezza di tutta la filiera professionalizzante…. Perché l’emergenza educativa non è figlia della pandemia, ma di un paese che fatica a mettere al centro delle politiche scolastiche proprio loro, i ragazzi e il loro futuro. Ora la scuola torna al centro di un programma di governo e nel merito sono abbastanza certo che farà bene”.

Lei ha detto anche che la didattica digitale ha aumentato le disuguaglianze. Eppure il precedente Governo aveva stanziato risorse importanti anche per acquistare dispositivi per gli alunni. Cosa non ha funzionato?
“Le diseguaglianze pre esistevano, si sono amplificate. Non solo in termini di utilizzo dei dispositivi da parte delle famiglie o di infrastrutturazione delle scuole, punti sui quali siamo intervenuti. Ma anche ad esempio in termini di accesso alla rete, sul quale poco si poteva fare in emergenza perché per colmare il divario infrastrutturale servono anni di investimenti. Oggi le diseguaglianze rischiano di aumentare perché una didattica a distanza efficace non si può improvvisare. Per fortuna il governo Renzi ha introdotto il Piano Nazionale Scuola Digitale e ha dato 500 euro l’anno ai docenti perché potessero dotarsi di strumenti efficaci e formarsi, da anni lavorano in tutte le scuole gli animatori digitali e l’elenco potrebbe continuare. Tutte cose importanti che hanno consentito di non essere all’anno zero quando la pandemia ci ha colpiti. Ma queste cose non bastano per formare una classe docente pronta a integrare didattica a distanza e didattica in presenza su tutto il territorio nazionale”.

Adesso c’è il tema di prolungare le lezioni in presenza anche a giugno. Lei cosa ne pensa?
“Trovo tutto il dibattito un po’ surreale, sinceramente. Le elenco alcune convinzioni, che mi sembrano perfino banali. Che c’è da recuperare dopo un anno di DAD è ovvio e conseguente a tutto quello che ci siamo detti fin qui. Che da Roma in giù a giugno fa caldo è vero almeno quanto il fatto che da Roma in su in queste settimane di didattica con le finestre aperte fa freddo. Che gli insegnanti hanno lavorato a distanza è un fatto incontrovertibile. Che frasi che si sono lette in giro tipo « io ho spiegato se gli studenti non hanno appreso non è colpa mia » sono inaccettabili, prima di tutto per i colleghi, lo do per scontato. Che parlare genericamente di allungare l’anno scolastico ha poco senso: ogni grado di scuola, ogni tipo di scuola, ogni singola scuola (forse ogni classe), fa storia a se. Che i sindacati vadano coinvolti è soprattutto ingaggiati a trovare soluzioni è essenziale”.

E quindi?
“Questi sono i principi: al ministro e al ministero il compito di trovare la sintesi assieme alle regioni. C’è giugno, c’è settembre, c’è, non per tutti gli studenti purtroppo, tutto il prossimo anno scolastico nel suo complesso. Queste strade le percorrerei tutte in un saggio mix, ma ripeto che attendiamo le scelte del governo e delle regioni”.

La scuola è un concentrato di problemi irrisolti da anni, anzi da decenni. Lasciando da parte l’ovvia necessità di riaprire le scuole al più presto e in sicurezza qual è secondo lei la priorità da mettere subito in agenda?
“Me ne lasci dire due. Il più grande problema della scuola italiana si chiama disuguaglianza, bisogna porre le basi perché si superino tutti i divari che la attraversano. In questo il Recovery plan può fare molto e intervenire in tante direzioni (i divari territoriali, la filiera professionalizzante, il sistema integrato da 0 a 6 anni, il tempo pieno…). Poi c’è l’emergenza di settembre: avere tutti i docenti in classe il primo giorno di scuola, risparmiando al paese il caos del 2020, deve essere l’ossessione delle prossime settimane. Perché è nelle prossime settimane, non nei prossimi mesi, che si pongono le basi perché a settembre tutto vada per il verso giusto”.

Da uomo del sud, lei cosa pensa del fatto che oggi i tassi di dispersione scolastica nelle regioni del sud sono più che doppi rispetto alla media nazionale?
“Deve essere la nostra priorità. Il paese senza il suo sud non va da nessuna parte. E il riscatto del sud passa dalle scuole”.