Il capogruppo renziano al Senato annuncia il documento che il gruppo consegnerà al premier lunedì sul piano di ripresa.

“Vogliamo stare nel governo con dignità, portando risultati a casa. Noi di Italia Viva abbiamo lasciato il porto sicuro del Pd per non restare a braccia conserte, ma per fare valere le nostre idee”. Davide Faraone, il capogruppo di Italia Viva al Senato, annuncia il documento che i renziani consegneranno a Conte lunedì sul Recovery Plan, in pratica le modifiche e richieste di merito. 

Faraone, sulla gestione del Recovery Plan c’è una retromarcia di Conte? Contate su di questa? 

“Devo dire che per la prima volta da quando Conte è premier mi pare ci sia stata l’ammissione chiara di un errore compiuto: non c’era stato il giusto coinvolgimento e anche c’è stata una certa superficialità”. 

Ma una struttura di monitoraggio ci vuole, non crede?

“Ora entriamo nel merito e discutiamo insieme su come spendere i 209 miliardi. Noi siamo quelli che hanno voluto le semplificazioni, quindi sappiamo bene che c’è una necessità di strumenti per l’accelerazione. Ma non possono essere sostitutivi delle istituzioni democratiche. La cosa davvero sgradevole è che ministri ci hanno criticato anche aspramente, mentre Iv ha fatto una battaglia per garantire il loro ruolo. Nella prima proposta di Conte si commissariavano ministri, Parlamento, Regioni, sindaci. E la procedura che si stava adottando escludeva le parti sociali completamente. Ci siamo presi palate di fango e solo ora si comprende che stavamo facendo un servizio al Paese. È stata una battaglia in solitaria. Ci siamo sentiti dare pubblicamente dei “rompiscatole”, hanno accusato: “i renziani sono quelli che vogliono alzare il prezzo”. Poi privatamente ci davano ragione”. 

Chi? Il Pd?

“Tutte le forze di maggioranza: Pd, M5S, Leu. Ma anche l’opposizione. Al centro delle nostre denunce c’è sempre stata la difesa delle istituzioni democratiche. Noi siamo stati aggrediti. Orgogliosamente ho difeso la nostra posizione. Ma oggi si sta comprendendo che avevamo ragione e abbiamo fatto e facciamo sul serio”. 

La verifica prosegue?

“Assolutamente sì. Nella lettera che abbiamo consegnato a Conte nel primo incontro a Palazzo Chigi abbiamo affrontato le questioni da qui ai prossimi due anni e mezzo. Aggiungo. Il metodo secondo il quale ci si chiede di votare in Parlamento o in Consiglio dei ministri cose decise in luoghi a noi sconosciuti, non va bene. Non avranno mai i nostri voti in bianco a provvedimenti conosciuti in notturna. Abbiamo già dato”. 

Il Mes è sempre sul tavolo? È un ostacolo su cui il governo può inciampare? 

“È sul tavolo più di sempre. È il “credo” nell’Europa. È inaccettabile che si rifiuti uno strumento che ci fa risparmiare tanti soldi – 300 milioni all’anno per 10 anni di interessi- con l’argomentazione che non ci fidiamo dell’Europa. Il Conte 2 è nato come governo europeista”. 

Ancora a proposito di task force per il Recovery, il premier ha ribadito che ce lo chiede l’Europa, e quindi? 

“L’Europa accetta ciò che il nostro Paese mette in campo. Faccio un esempio. Con il Recovery Fund possono essere finanziate opere che si realizzano entro il 2026. Noi abbiamo chiesto il Ponte sullo Stretto, ma questo evidentemente non può esere completato entro quella data. Tuttavia il ministro Gualtieri ha detto che somme del Recovery possono essere utilizzate in sostituzione di somme impegnate per opere pubbliche. Quindi c’è un discrezionalità che è data dalla politica e dal buonsenso”. 

Non ci sono le urne in vista? 

“Franceschini è stato irrispettoso a parlare di urne innanzitutto nei confronti del presidente Mattarella al quale soltanto spetta decidere cosa fare in caso di crisi di governo. È diventato simile alla Meloni. È poi paradossale che un ministro rigorista, che ha chiuso gli hotel, i musei, i teatri, voglia aprire i seggi. Noi renziani non reputiamo utili le elezioni anticipate, però IV è pronta. E non facciamo prove muscolari come Franceschini”. 

Ma pensate al rimpasto? 

“Mai parlato di rimpasto, ma di come si sta insieme condividendo il governo del Paese. Come è andata finora non va bene, lo abbiamo detto a Conte. Sia lui a proporci come fare, basta melina però”. 

È vero che c’è un controesodo di senatori passati con voi, e pronti  a tornare indietro nel Pd? 

“Cazzate. Nei miei 18 colleghi senatori ho estrema fiducia. Sono una squadra straordinaria e compatta. Quando abbiamo lasciato il porto sicuro del Pd l’abbiamo fatto per non stare a braccia conserte, per fare valere le nostre idee”. 

Nei sondaggi però avere minacciato la crisi vi fa perdere consensi…

“Non mi risulta che siamo in perdita di consensi, mai come ora la nostra azione è in sintonia con il Paese”.